Carte di credito revolving e tutela del consumatore alla luce della sentenza della Cassazione 13 maggio 2025

Nel mondo dei finanziamenti al consumo, la carta di credito revolving è uno strumento molto diffuso. Ma cos’è esattamente? E quali tutele legali esistono per chi l’ha sottoscritta, specialmente alla luce di una recente e importante pronuncia della Corte Suprema di Cassazione?
Cosa si intende per carta revolving?
A differenza delle tradizionali carte di credito “a saldo” (o charge), che prevedono il rimborso totale del debito il mese successivo, la carta revolving funziona come una linea di credito, permettendo di effettuare pagamenti o prelievi anche se non si dispone immediatamente dei fondi necessari.
La caratteristica principale è la modalità di rimborso: il titolare non è obbligato a saldare l’intero debito ogni mese, ma può restituire una percentuale o una somma minima prestabilita. La disponibilità di credito si ricostituisce gradualmente man mano che vengono effettuati i rimborsi. Sul debito residuo vengono applicati interessi che sono però estremamente elevati.
La questione decisa dalla Cassazione
La recente sentenza della Corte di Cassazione (n. 12838 del 13 maggio 2025) si è pronunciata su una questione fondamentale relativa alla validità dei contratti di carta revolving sottoscritti in un periodo specifico del passato.
La Corte è stata chiamata a stabilire “Se nella vigenza del D. Lgs. n. 374/1999 e del D.M. 13.12.2001 n. 485, anteriormente all’entrata in vigore del D. Lgs. 13 agosto 2010 n. 141, era o meno consentita l’apertura di una linea di credito utilizzabile mediante carta di credito di tipo revolving a tempo indeterminato a seguito di contratto promosso e sottoscritto presso un fornitore di beni e servizi convenzionato con intermediario finanziario ma non iscritto nell’elenco istituito presso l’U.I.C.”.
In termini più semplici: era legittimo, prima del 2010 (quando erano in vigore il D. Lgs. 374/1999 e il D.M. 485/2001), che un contratto per una carta revolving venisse proposto e firmato direttamente in un negozio o presso un fornitore di beni/servizi convenzionato con una finanziaria, se questo negozio non era iscritto nel registro speciale tenuto dall’Ufficio Italiano Cambi (U.I.C.) per chi svolgeva attività finanziaria?
E se, quindi, in caso di attività svolta da un soggetto non abilitato (il fornitore convenzionato non iscritto), il contratto fosse (o meno) da considerarsi nullo per contrarietà a norme imperative?
La Suprema Corte ha risposto affermativamente, rilevando che “…nella vigenza del d.lgs. n. 374 del 1999 e del d.m. 13 dicembre 2001, n. 485, anteriormente all’entrata in vigore del d.lgs. n. 141 del 2010, non era consentita l’apertura di una linea di credito utilizzabile mediante carta di credito di tipo revolving a tempo indeterminato a seguito di contratto promosso e sottoscritto presso un fornitore di beni e servizi convenzionato con intermediario finanziario ma non iscritto nell’elenco istituito presso l’U.I.C. ex art. 3, d.lgs. n. 374 del 1999; nella vigenza del d.lgs. n. 374 del 1999 e del d.m. 13 dicembre 2001, n. 485, anteriormente all’entrata in vigore del d.lgs. n. 141 del 2010, il contratto di apertura di una linea di credito utilizzabile mediante carta di credito di tipo revolving a tempo indeterminato a seguito di contratto promosso e sottoscritto presso un fornitore di beni e servizi convenzionato con l’intermediario finanziario ma non iscritto nell’elenco istituito presso l’U.I.C. ex art. 3, d.lgs. n. 374 del 1999 è nullo ex art. 1418, primo comma, cod. civ.”.
Quindi, per la Corte l’attività promozionale svolta dal fornitore non iscritto era illegittima in quel periodo e il contratto che ne è scaturito è nullo.
Quale tutela per il consumatore?
Alla luce di questa sentenza, la principale tutela per il consumatore che avesse sottoscritto una carta revolving in quel periodo storico (prima del D. Lgs. 141/2010) presso un fornitore di beni/servizi convenzionato ma non iscritto nell’elenco U.I.C. è la nullità del contratto stesso.
La dichiarazione di nullità del contratto significa che l’accordo è considerato legalmente inesistente fin dall’origine. Sebbene le specifiche conseguenze economiche della nullità (ad esempio, la restituzione degli interessi pagati) dipendano dalle circostanze concrete e dalla valutazione del giudice di merito, la sentenza apre la strada a contestazioni sulla validità del rapporto e la possibilità di recuperare somme indebitamente versate, basandosi sul principio che il contratto è nato in violazione di norme fondamentali poste a tutela dell’ordine economico e dei consumatori.
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